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BRASIL, 2003                                                                                                                                   Operazione: Brasil 2003
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:: 1.7.03 ::

- Copacabana, Rio de Janeiro -


Chi non vive a Rio de Janeiro non ha capito niente della vita.

Se chiedessero a qualunque persona, che so, un ignorante, un premio Nobel, un ricco, un povero, uno di destra ed uno di sinistra, insomma se chiedessero a quello che passa per la strada di disegnare la cittaŽ dei suoi sogni, egli la disegnerebbe piuŽ o meno cosi.
Una cittaŽsul mare, un mare bello e calmo, con una spiaggia lunga ma piena di insenature grandi e piccole, che non sia un lungomare noioso alla Rimini, ma tante spiaggette pure e deliziose ed anche un paio di spiagge lunghe con le barche a vela allŽormeggio.
Poi ci metterebbe della natura rigogliosa e incontaminata, colline coperte di foreste che si tuffano nel mare. Tante colline, verdi e soprattutto immacolate, alcune basse e dolci, altre piu alte e ripide. Poi un paio di roccioni alti, ruvidi e marroni, come a distaccarsi dal resto del paesaggio verde e blu. In mezzo a tutto questo una cittaŽ, case basse da una parte e poi una zona con grattacieli alti, percheŽ comunque eŽ bello lavorare e in una cittaŽ cosi di piuŽ. Poi tanti prati verdi, dove si possa giocare da piccoli e fare picnic con gli amici da grandi. Ed un aeroporto, a tre minuti a piedi dal centro, percheŽ eŽ ancora piuŽ bello partire se poi si sa di ritornare qui.
E sole, tanto sole, e la temperatura giusta, che si esca sempre con la camicia, al massimo la sera si tirano giuŽ le maniche, diciamo 20-25 gradi dŽinverno e 25-30 dŽestate, giusto percheŽun poŽdi differenza non guasta.

Tutte queste persone, lŽignorante di destra, il ricco di sinistra, insomma quello che passa per la strada, chiunque avrebbe disegnato Rio de Janeiro.
Da sopra il Pao de Azucar si sentivano solo gli uccelli ed il suono del fischietto dellŽarbitro, guardavo giuŽe vedevo campi da calcio, campi da calcio, campi da calcio, campi da tennis. Guardavo la spiaggia, e le macchine ordinate nelle strade sulla costa, ed il Cristo Redentor, con le mani aperte, eŽuna cittaŽcattolica, infatti si sa vivere bene. Pare un sogno, ma eŽdavanti a me.

Per quanto riguarda i famosi omicidi, onore e vanto di Rio de Janeiro, non ho avuto la fortuna di assistervi, o meglio non ho assistito ad un omicidio completo, ma putroppo soltanto ad uno tentato.
Passeggio in una via nel centro e ad un certo punto mi fermo davanti ad una vetrina ammaliato dalla bruttezza di alcuni divani in un negozio che vendeva divani. Immerso nei pensieri relativi al colore tremendo di un sofaŽ, sento un poŽdi concitazione dietro di me. Mi volto e giusto due metri dietro la mia schiena noto un poŽdi nervosismo, persone che accorrono ed altre invece che, con la medesima fretta, scappano. Mentre mi volto un ragazzo cade col muso sul marciapiede, si rialza con gli zigomi arrotondati e completamente coperto di sangue ed immediatamente dopo, ma probabilmente comunque troppo tardi, una specie di poliziotto lo ammanetta.

Decido, come tanti altri, che eŽil momento giusto per fare qualcosŽaltro, allora me ne vado al Bar Luiz, giusto cinquanta metri piuŽin la, uno dei soliti bar nei quali si riunivano i soliti intellettuali ed i soliti artisti nella solita epoca dŽoro della cittaŽ ormai passata, e che ora tristemente ricorda i suoi fasti con quadretti e fotografie appese ai muri, mentre gli avventori consumano cose della cui antica qualitaŽ ormai non cŽeŽdavvero piuŽtraccia. Qualcosa tipo il Giamaica di Milano, per intenderci.
Il bar in origine si chiamava Bar Adolf, poi, immagino dopo approfondite indagini svolte da costosissime societaŽ di naming americane, deduco qualcuno avraŽ notato che il nome non era piuŽ troppo amato dalla clientela e, giusto al tempo della seconda guerra mondiale, Adolf fu modificato in Luiz.

Al tramonto prendo la metropolitana e poi un autobus per Ipanema, alla ricerca della famosa (o delle famose) Girl from Ipanema. Salgo sullŽautobus e vado verso il fondo, sul sedile posteriore eŽseduta una ragazza bellissima, bionda (naturale) con gli occhi verdi. Comincio a pensare che eŽconfermato, le ragazze brasiliane sono veramente belle, anzi quella non eŽuna ragazza brasiliana soltanto, eŽuna ragazza di Ipanema, ecco dunque, ho trovato la mia Girl from Ipanema, e lŽho trovata pure prima di arrivare ad Ipanema, questa immagino non fosse riuscita neanche a Tom Jobim.

Dopo circa trenta secondi conosco la ragazza. La mia Girl from Ipanema eŽdi Seattle, Stati Uniti, vive qui solo da un anno ed eŽsposata.
Peccato, non lo fosse stata, Ipanema o non Ipanema molto probabilmente lŽavrei sposata io.


:: D 10:16 [+] ::
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:: 2.7.03 ::

- Copacabana, Rio de Janeiro -


Ieri ho conosciuto Hannes, abbiamo parlato in inglese per una buona mezzŽora e alla fine ci siamo accorti che siamo entrambi italiani. Hannes eŽun giornalista e fotografo di quarantacinque anni che, grazie alle esperienze di fotografo di guerra, ai continui viaggi in giro per il mondo, ed ai succhi di frutta tropicale che vendono nei baracchini di Rio, dimostra una ventina dŽanni di meno.
Oggi Hannes mi seguira' nel viaggio verso Belo Horizonte. EŽchiaro, un giornalista vuole sempre stare sulla notizia.


:: D 09:33
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:: 4.7.03 ::

- Belo Horizonte -


La prima cosa a colpirmi eŽstata la casa, il muro di cinta grigio alto tre metri, gli spuntoni in cima, il filo spinato elettrificato, le porte blindate e le sbarre alle finestre. Qui abita Rosetta e qui dormo io.

Per uno a cui i bambini urlanti sono sempre stati sui coglioni, entrare in un asilo con 300 (trecento) bambini, e pure brasiliani, eŽunŽesperienza forte.
Allora, il centro Jardim Felicidade eŽin cima ad una collina in mezzo alla favela urbanizzata di Belo Horizonte, ma in qualche modo non ne fa parte.
Il concetto mi ricorda uno di quegli staterelli idioti tipo San Marino, immersi cioeŽin unŽentitaŽpiuŽgrande ed importante ma in qualche modo parte a seŽ, con i propri confini e le proprie leggi. Ecco, questo posto ha propri confini e proprie leggi, eŽin cima alla collina della favela e da dentro la si vede tutto attorno, eppure ne eŽ in qualche modo lontano, la violenza e la miseria ne sono tenute fuori.
La prima impressione che ho eŽdi un posto dove si sta bene, dove cŽeŽ affetto e lo si vede, lo si tocca, lo si annusa. Dove cŽè umanità. Il che potrebbe sembrare ovvio, lŽaffetto allŽinterno di un asilo, ma cosiŽovvio non eŽ, in fondo, nella favela della terza cittaŽdel Brasile. In un posto dove mater semper certa, ma di padri in giro ce nŽeŽuno ogni quindici bambini, e quindi a voler fare due conti il 90% dei bambini non ce lŽha, con tutto quello che a cioŽconsegue, la distruzione dei rapporti familiari e sociali, la violenza dentro e la violenza fuori delle case eccetera.
CŽeŽunŽatmosfera particolare qui dentro, qualcosa che sto ancora cercando di capire, ma di cui da subito si riconosce lŽorigine nellŽumanitaŽricca e particolare delle persone che hanno creato queste opere, cosiŽ uguali alle altre persone, eppure cosiŽ diverse.

Rosetta ha sessanta anni, vive qui da trentasei, ha creato gli asili, lŽorfanotrofio, i centri di accoglienza per i meninos da rua, ventŽanni fa ha fatto un giro su un elicottero sopra la favela e poi lŽha ridisegnata sulla fotografia dallŽalto, mentre il governo ci voleva passare sopra con le ruspe lei ha allargato i vicoli fetidi e ha fatto le strade e ci ha messo la luce, e quindi la dignitaŽ, ma soprattutto ci ha vissuto dentro lei con i favelados, ne ha condiviso la vita e i bisogni fino in fondo, questa eŽla differenza.

Ieri sera con Rosetta siamo andati a cena a casa della famiglia dellŽodontoiatra dellŽasilo, una terrazza con piscina ed unŽottima vista sulle favelas, roba da far schiattare dŽinvidia pure le terrazze radical chic romane.
CŽerano i genitori della ragazza, due persone cosiŽincredibilmente somiglianti a loro figlia che erano identiche anche tra di loro; poi tre ragazzi di un gruppo rock brasiliano chiamato appunto Trinidade al loro terzo CD, che hanno cantato a gratis le loro canzoni a cavallo del dolce; poi un ingegnere sulla cinquantina sosia di Luciano Benetton che a un certo punto ha deciso di mollare tutto e fare il pittore; poi il console italiano a Belo Horizonte, che continuava a baciare ed abbracciare Rosetta. Poi cŽera la caipirinha, tanta caipirinha per me e cachaca schietta per Rosetta, e soprattutto non cŽera niente da mangiare.
Io ho parlato un poŽ con tutti, poi a un certo punto ho deciso di soffermarmi su una ragazza brasiliana, eŽstato dopo che ha affermato che le ricordavo lŽincarnazione di un dio greco.

Siamo tornati a casa a tarda notte con la Rosetta che guidava per le strade larghe di Belo Horizonte ed io che barcollavo nel sedile posteriore, non si eŽfermata ad un semaforo rosso che fosse uno, poi mi hanno spiegato che non ci si ferma mai ai rossi a Belo Horizonte la notte, lŽultima volta che lo ha fatto due settimane fa, Rosetta si eŽtrovata puntata un coltello alla gola.
Siamo arrivati a casa, il cancello si eŽaperto e siamo entrati, poi si eŽrichiuso. Il muro di cinta, gli spuntoni, il filo spinato elettrificato, le porte blindate e le sbarre alle finestre hanno tenuto fuori tutto il resto.


:: D 15:58
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:: 13.7.03 ::

- Belo Horizonte -


1) Quando mi ci sono perso guidavo il Volkswagen bianco ed erano le tre di notte, buio tutto attorno e solo quella strada lunga, in mezzo al niente, era illuminata dalla luce gialla. Silenzio per chilometri, nessuna persona, nessuna macchina, nessun cane.
Quando lŽho visto a dire il vero lo avevo giaŽ intuito, come quando si intuisce una cosa brutta, in fondo lo si capiva da lontano che cosŽera. PeroŽnon cŽera niente attorno, ecco il punto, non un segno, non un oggetto, non una prova, solo quel corpo abbandaonato da solo sulla corsia di destra, un braccio aperto e la guancia sullŽasfalto.

A passarci di giorno eŽtutta unŽaltra cosa, fa caldo oggi e ho sonno, ogni tanto la testa crolla sul sedile e mi addormento. Arriviamo nel quartiere di Vila Esperancia e scendiamo, io, i due agenti di credito dellŽAVSI - una ONG di Milano - e Lia, una ragazza che lavora allŽONU e che ho ritrovato qui, per i famosi casi della vita, dopo quattro anni. Si tratta di stabilire se lŽuomo che sta dentro quella specie di capanna saraŽin grado di fare buon uso dei soldi che gli si vanno a prestare - pochi per un milanese, diciamo il costo di un buon venerdiŽsera, ma tanti per lui. Si chiama microcredito, cioeŽ micro-prestiti a micro-imprenditori per micro-imprese, soldi con i quali il nostro puoŽ permettersi di comprare che so, una macchina da cucire se vuole darci di taglio e cucito, o delle api se vuole vendere cera e miele. (continua)

2) La domenica qui in genere si fa il churrasco.
Ci si mette tutti in giardino - tanto qui eŽsempre primavera - ricchi e poveri, i ricchi con la carne rossa e i poveri col pollo, in ogni modo il tutto infilato in uno spiedino e bruciato sopra una fiamma. Nel frattempo si parla, molto, e soprattutto si balla.
Il churrasco comincia verso lŽuna e, quando va bene, finisce verso le nove di sera. ]
Prima, dopo e durante ogni nuovo piatto di carne si beve alcool. I ricchi la caipirinha, i poveri non so.


:: D 22:54
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:: 23.7.03 ::

- Salvador da Bahia -


Basterebbe un piccolissimo restyling e poi sarebbe assolutamente pronta per le passerelle internazionali, Milano, Parigi, New York.
EŽstata lei, fissandomi dal centro della strada, alzando le braccia al cielo a fare toccare i dorsi delle mani e dando una mossa elettrica a tutto il corpo, ad accogliermi in questa cittaŽ: šThis is Bahia!š

Il quartiere centrale della cittaŽeŽmagico, viuzze strette con case coloniali colorate e slarghi funzionali alla logistica del mercato degli schiavi che quiŽeŽstato abolito per ultimo nel mondo. Infatti sono tutti negri, negri che cantano, negri che ballano, negre vestite di bianco e colorate coi pizzi, e siamo appena agli inizi.
EŽsera ed il quartiere eŽpoco illuminato, ci sono poliziotti ovunque. Questo posto eŽpericoloso.
EŽlŽora di cena e giaŽnelle piazze allŽinterno delle case si suona. Non ho tempo di fermarmi; cammino lasciandomi trasportare dalla musica. Mi fermo per cercare delle sigarette di paglia, arriva un ragazzino che vende sigarette ma quelle di paglia non le ha. Porta attaccato al collo una cassetta piena di sigarette, caramelle, accendini, me la lascia in mano e corre a cercare le sigarette che ho chiesto, ed io resto in piedi per cinque minuti con la cassetta in mano, responsabile della totalitaŽdei suoi beni. Arriva una ragazza presumibilmente tedesca per comprarmi un pacchetto di marlboro, mi guarda in piedi con la cassetta in mano, poi si accorge dal colore dei miei occhi e dalle mie Nike che cŽeŽqualcosa che non quadra e se ne va senza dire niente.

Cerco un telefono nella piazza dove sono e telefono a Rosa. Dopo due minuti sento un poŽdi fiato sul collo, mi volto e trovo due ragazzine, nere come la notte, con lŽorecchio puntato giusto a dieci centimetri dalla mia nuca. Gli chiedo cosa volessero mai, mi rispondono che volevano sentirmi parlare in italiano, poi mi dicono che sono bellissimo.
Non posso non essere dŽaccordo, quindi cominciamo a parlare. Loro lavorano qui, in uno studio grafico, una ha ventiquattro anni, lŽaltra diciannove, mi chiedono un poŽtutto della mia vita, poi quella piuŽpiccola mi chiede se la voglio sposare. Le rispondo subito, senza illuderla, che cioŽnon rientra nei miei programmi di breve.


:: D 19:39
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