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India, 2003
IL NORD :: 7.5.03 ::
- McLeod Ganj, Himalaya -
Cinque personaggi (in cerca d'autore)
N.1 - Mario ha gli occhi buoni, i capelli lunghi e la pancia. Non parla
inglese, soltanto italiano. E' venuto in India per scappare, e questo me l'ha
detto subito, appena ci siamo conosciuti. A dire la verita' quando ci siamo
conosciuti mi ha raccontato tutto, della sua vita, dal primo all'ultimo fatto,
mentre camminavamo verso il tempio buddista. Aveva una bottiglia d'acqua in mano
ed ansimava, pero' camminava veloce. Mi ha spiegato le preghiere dei monaci
tibetani, ma lui non crede in niente, ed abbiamo fatto il giro in senso orario,
quello attorno alla casa del Dalai Lama, quello che qui fanno recitando i mantra
con il rosario in mano.
Alla fine del percorso sapevo tutto, il prologo, il fatto, l'epilogo, la
detenzione, la cella di fianco al terrorista famoso, la comunita', ed ora l'India.
Tutte le sue miserie, cosi', tutte in una volta, come a cercare una redenzione,
o un perdono.
Mario stima le persone che capiscono subito le cose, quelle che si ricordano i
dettagli, quelle che parlano l'inglese, quelle che mangiano sano, quelle che
sono loro stesse e quelle che non temono di dispiacere quando dicono cio' che
pensano.
Sembra amico di tutti perche' Mario sorride sempre, eppure non e' cosi.
Mario sceglie bene quelli con cui sedersi ad un tavolo.
N.2 - Lisa saltella tra gli escrementi dei montoni per evitarli - ha i piedi
scalzi - vuole fare una foto. Dietro di lei un gregge, dietro di loro le
montagne.
Lisa e' in viaggio da trentacinque anni e non si e' mai fermata. Porta un
vestito verde, uno di quei vestiti lunghi che mi ricordo sulle donne zingare del
cimitero di Piacenza, un cappellino bianco della Oakley e uno Swatch al polso.
E' svizzera di Brig ed e' un' artista, o almeno dice di avere capito di esserlo,
perche' ad un certo punto si e' messa a dipingere. Dipinge trecento cose all'anno,
pittura astratta: quadri, vestiti, cose. Questo le da da vivere. Un mese all'anno
scaccia gli inquilini in affitto e si riprende la sua casa in Svizzera, sulle
montagne, e in questo mese vende, presenzia alle mostre, incontra critici e
collezionisti. Poi prende i soldi, si tiene quelli per il viaggio, il resto agli
orfani.
Lisa e' felice, si vede bene. L' eta' e' indefinibile, potrebbero essere
sessanta, potrebbero essere cinquanta. Il viso e' pieno di rughe, ma non sono
rughe di vecchiaia, perche' ne ha anche dove di solito non ci sono rughe, e sono
rughe piu profonde, non smussate.
Oggi ho incontrato ancora Lisa, e mi ha raccontato di un posto da vedere, due
giorni di viaggio e cinque di cammino. Mi ha detto di portare con me degli
spaghetti da cuocere, che non si sa mai che non si trovi da mangiare.
In quel mese che e' in Svizzera, Lisa scende una volta in Italia per andare dal
parrucchiere.
:: D 15:57 [+] ::
...
:: 8.5.03 ::
Una volta ho avuto paura. Uscivo dal mio albergo a Delhi per andare a cenare.
Il mio albergo sta in fondo ad una trasversale senza via d'uscita del Main
Bazar, giusto di fianco ad una specie di container marrone arrugginito con
cinque aperture e cinque cessi che scaricano direttamente sulla strada. Dalla
porta dell'albergo comincia una strada dove non c'e' neanche un negozio, solo
case e piccole botteghe dove si producono cose. Lungo la strada c'e' un'alta
densita' di mucche e vitelli. La strada e' abbastanza stretta e sterrata, piena
di pozzanghere sporche. Di sera non ci sono luci.
Quella sera esco dall'albergo ed entro in questa via. C'e' silenzio, o meglio un
silenzio relativo, e camminando nel buio si sente il respiro di quelli che
dormono al lato della strada. Ormai non mi volto neanche piu' per guardarli,
tanto non si vedono. Cammino in avanti, guardando in fondo alla strada e non
davanti a me. Ad un tratto sento abbaiare, e dei cani correre.
Ora, io ho paura pure di un cocker ai Giardini Margherita di Piacenza di
giorno, se comincia ad abbaiare. Qui sono quattro cani tendenzialmente rabbiosi,
affamati e, soprattutto, al buio. Quattro mi accerchiano, un quinto rimane in
fondo a guardare l'evoluzione della scena, e cominciano a ringhiare.
Mi guardo attorno per vedere se c'e' qualcuno; ma non c'e' nessuno. Sento i cani
sempre piu vicini, ora riesco a vederli nel buio, ringhiano e mi fissano. Mi
paralizzo, poi mi sposto di un metro verso il lato della strada, come a cercare
protezione, poi mi blocco ancora. Comincio a pensare che non mi devo muovere,
altrimenti sono fregato, e che non gli devo fare percepire che ho paura. Non ci
riesco affatto, me ne accorgo io e se ne accorgono pure loro. Ringhiano sempre
di piu, coi denti di fuori, e ricominciano ad abbaiare. Senza volerlo mi si
muove con uno scatto la gamba destra, penso che sono finito, avessi almeno i
pantaloni lunghi.
In quel momento, per quella legge del caso in India, che dice che tanto piu' e'
poco probabile che succeda una cosa quanto piu' questa in realta' poi succede, i
cani si voltano e se ne tornano nel buio. Riprendo il controllo della mia gamba
destra e cerco di ritrovare l'appetito.
:: D 20:12 [+] ::
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:: 11.5.03 ::
- McLeod Ganj, Himalaya -
Mi ci sono fermato otto giorni, eppure andarsene da questo posto e' veramente
dura.
V. infatti ci resta e se ne andra' direttamente a Varanasi in treno (V. proprio
non ce la fa ad andarsene cosi' presto).
Quest'oggi io e Sean abbiamo camminato in montagna e siamo andati alle
cascate qui sopra, quando siamo arrivati faceva un po' caldo, abbiamo cominciato
a saltellare per i massi lungo il fiume e poi ci siamo fermati a guardare un
laghetto tra una cascata e l'altra, l'acqua era verde e blu.
L' abbiamo fissato per una buona mezz'ora, questo laghetto, pressoche' in
silenzio, ogni tanto ci mettevamo dentro un alluce, come a sperare che in fondo
avrebbe potuto anche diventare un po' piu calda, quell'acqua - acqua di neve
dell' Himalaya che si scioglie, la neve dell' Himalaya deve essere comunque piu'
fredda della neve normale.
Poi ad un certo punto abbiamo confabulato un po', in fondo in fondo lo sapevamo
e lo temevamo dall'inizio, da quando avevamo cominciato a fissare l'acqua e ad
intingere l'alluce, ci siamo spogliati e ci siamo tuffati. Comincio a capire
cosa provano quelli che si buttano nel Volga o al Polo Nord: niente,
assolutamente niente, sospensione di giudizio, si pensa soltanto a cosa fare
subito dopo, nessun pensiero al presente.
(Ripensandoci, questo fatto del bagno nell'acqua gelida mi ricorda proprio
cio' di cui si parlava ieri sera, dei sufi e dell'apice dei loro momenti di
meditazione, ossia dell' annullamento totale del pensiero. Questi si mettono in
piedi sopra una superficie liscia e cominciano a girare sopra loro stessi (a
stomaco vuoto, ndD). Girano sempre piu forte, ad un certo punto la forza
centrifuga gli alza le braccia e diventano delle trottole umane, con l'aumentare
della velocita' tutte le capacita' cognitive sono concentrate nel pensiero di
mantenere l'equilibrio, cosicche' la mente non ha spazio di pensare ad altro,
basta sgarrare un attimo e sei fregato, ti sfracelli a terra - et voila' la
meditazione. Un po' come un tuffo nell'acqua dell' Himalaya)
L' ho scoperto tardi, il Sunrise Cafe', quello dove fanno il "best chai
in Asia (*)". L' ho scoperto solo stasera, camminando, anche se ci ero
passato davanti mille volte.
Il Sunrise Cafe' e' una baracca che sta su una delle quattro strade che si
dipanano dal crocicchio centrale del paese dove arrivano le corriere, o meglio
la corriera, perche' fisicamente di spazio ce n'e' per una sola. Il Sunrise Cafe'
e' la metafora di questo posto. Cio' che si vive al Sunrise Cafe' e' cio' che si
vive qui. Per accedere al Sunrise Cafe' dalla strada bisogna saltare il
canaletto della fogna, quello dentro il quale ogni tanto si tuffa il tubo nero
tutto rattoppato che porta l'acqua in giro per i posti qui, e quindi anche alla
sua cucina. Una volta dentro ci si trova bene, sono due metri per tre, cucina
inclusa, ed ha un che di intimo, il Sunrise Cafe', e' un posto in cui si sta
stretti, sulle tre panche attorno al tavolo e stretti pure sul muretto fuori,
giusto di fronte. Il Sunrise Cafe' e' sempre pieno di gente, dentro o di fronte,
e' un luogo dove ci si incontra. Esattamente come questo paese.
McLeod Ganj e' un paese stupendo dell' India, ma la sua vera attrazione per
me sono le persone che ci passano. La sua vera bellezza, per me, e' la bellezza
di chi ci cammina, la sua ricchezza e' la loro ricchezza.
Il paese si dipana lungo tre viuzze che vanno su e giu, che partono dal
crocicchio dove stanno i quattro lebbrosi. Di norma anche una mucca beige
staziona davanti al tabaccaio. Una strada sale, due scendono, una di queste va
al tempio dei buddisti tibetani.
Di fianco al tempio c'e' il governo del Tibet in esilio. Il Dalai Lama ed i
monaci buddisti vivono come rifugiati politici dagli anni cinquanta, cioe' da
quando i cinesi hanno invaso il Tibet ed hanno cominciato a distruggere tutto
cio' che rimaneva del paese e della sua tradizione: numero uno i luoghi - finito
- duemiladuecento monasteri buddisti distrutti o riconvertiti a fabbriche di
gadget kitsch; numero due le persone - finito (quasi) - un milione di morti
ammazzati e persecuzioni contro la religione ed i suoi praticanti, e appunto il
Dalai Lama in fuga in India in esilio appena in tempo dopo l'invasione cinese.
La strada che sale porta ad un paese, Bakshu, dove si fanno trance party
praticamente ogni sera, anche se ieri sera suonavano i grandissimi "The
Silk Road and the Hijackers". Le altre due strade sono una successione
continua di baracche con dentro negozietti, caffe', brande per quelli che ci
dormono di notte, posti dove si telefona, barbieri, templi buddisti, eccetera.
Le strade sono sterrate, e buie di notte. Di giorno pero' si vedono le montagne
in alto, in fondo, mezzo alle baracche.
Insomma, questo e' il posto dove dorme Richard Gere quando viene a parlare
col Dalai Lama da convertito alla filosofia buddista, ma pure Kate Winslet e
Pierce Brosnan hanno fatto fotografie assieme a titolari di negozi locali,
fotografie poi orgogliosamente appese al muro dietro al bancone. Ma a parte
questo e a parte l'Himalaya, questo posto non sarebbe stato niente per me se non
avessi incontrato le persone che ho incontrato.
L'India e' due cose: l'India e quelli che ci vengono, due cose in qualche modo
legate l'una all'altra, ma non necessariamente, eppure ugualmente intense,
ugualmente forti, ugualmente un pugno in pancia ogni volta - non ci si abitua
mai - ne' alle persone ne' all'India.
Gente che scappa, gente che si rifugia, gente che non sa dove altro andare,
gente che sta cercando qualcosa ma di solito non sa cosa, gente che sa tutto e
gente che non sa niente, gente che ha viaggiato, di norma tantissimo, gente che
si e' lasciata e gente che si lascera' ora. E le persone sono come l'India,
quando ci sei immerso, non c'e' via d'uscita.
Lasciare Sean e tutti loro, questa sera, e' stato molto difficile.
(*) Il chai e' una bevanda di te', latte e spezie di cui gli indiani ed i
turisti come me vanno spesso in overdose.
:: D 19:24 [+] ::
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:: 13.5.03 ::
- Kut-Chadiara, Himalaya -
Il viaggio e' metafora della vita, oppure la vita e' metafora del viaggio?
A quattro persone diverse, l'ho chiesto, l'orario di partenza della corriera
per Chamba. E quattro risposte diverse ho ricevuto. La corriera (l'unica nella
giornata) parte alle 9, alle 7, alle 6 e alle 8.30 (l'ultimo mi da pure un'opzione
alle 6 del pomeriggio). E quanto tempo impiega? Diciamo sei ore, oppure dieci,
oppure nove, oppure sette.
Allora prendo questi numeri, ci faccio una media aritmetica e decido che devo
essere alla stazione di Dharamshala per le otto. La matematica e' una scienza
esatta, la corriera partira' alle nove e un quarto, giusto in tempo perche' un
topo mi si precipiti dalla tettoia sopra il "Times of India" fresco di
stampa che stavo leggendo. Infarto e scatto di nervi da parte mia, risatine
contenute, tutto intorno, all'indirizzo dell'occidentale che ha paura dei topi.
La corriera e' piu' scomoda ed io sono piu' insofferente del solito, quest'oggi,
ed e' lenta, troppo lenta. Ogni tanto l'autista si ferma, in mezzo alla strada e
in mezzo al niente, ferma il motore, scende, va verso una baracca e torna dopo
mezz'ora. Una volta, due volte, tre volte, poi comincio ad arrabbiarmi. Ho mal
di testa. Ho fame. Fa caldo.
Una volta ci fermiamo in un paese, e' mezzogiorno, c'e' un grande piazzale di
sabbia bianca mezzo vuoto, ci sono altre due corriere, ferme, in fondo. Esco a
fare due passi sotto il sole torrido. C'e' una capanna tutta buia a destra, con
dentro delle donne bellissime tutte colorate. In fondo tre banchi di frutta.
Sono solo che guardo verso il sole e mi si presenta davanti un tipo, sulla
cinquantina, una camicia beige, dei pantaloni chiari, e gli occhiali che portava
Tom Cruise in Top Gun. Senza dire altro mi presenta le sue generalita': sono tal
dei tali, ufficiale dell'esercito indiano, in vacanza per due mesi, in viaggio
verso nord. Ed io gli espongo le mie, poi cominciamo a parlare, il tempo, il
Kashmir, eccetera. Mentre parla guardo per terra ed in mezzo al bianco della
sabbia spiccano i colori di un pappagallo morto. Che strano, non ho mai visto un
pappagallo in India, sara' che non danno nell'occhio, di colore ce n'e' gia'
tanto.
Vado insieme all'ufficiale a comprare delle banane, e voltandosi lui pesta col
piede destro la testa del pappagallo morto - non penso pero' che se ne sia
accorto.
Il viaggio e' sempre peggio, sempre piu' lenta la corriera, sempre piu'
insopportabile l'autista, ora si ferma pure a parlare all'incrocio con le altre
corriere, gli autisti fuori dal finestrino, e parlano, e si salutano, e si danno
la mano, e che possano essere maledetti. Sto da otto ore su quel sedile,
centocinquanta chilometri fino a Chamba, e soltanto perche' un tipo inglese - la
prima persona cui ho parlato in India, dopo il medico dell'aeroporto che mi
chiedeva se avevo febbre o tosse secca - mi aveva detto che c'e' una famiglia
li' sopra in una valle stupenda dell' Himalaya che ha delle stanze. Un consiglio
da un viaggiatore vale un viaggio, pero' adesso ci stavo ripensando.
Comincia a diventare buio, il cielo si rannuvola e le montagne in fondo sono
illuminate dai lampi. Chiudiamo i finestrini, c'e' una bufera di vento e c'e'
polvere dappertutto. Sono stanco. Voglio una pizza. Ad un certo punto arriviamo
in un paese, c'e' scritto Chamba ovunque sui negozi, che sia Chamba? Fuori
diluvia e c'e' pure polvere ovunque, in mezzo alla polvere decine di indiani che
aspettano le loro corriere. Esco col mio zaino arancione, mi guardano tutti come
un marziano, piove ed ho freddo, questo posto e' brutto, ho la polvere negli
occhi, voglio tornare da dove sono venuto. Ma ormai non posso piu'. Devo
chiamare la famiglia, chiedere se hanno posto, entro in un posto per telefonare.
Ma il viaggio e' metafora della vita, e come succede di solito, la salvezza
arriva dal cielo.
Guardo fuori dal negozio e le nuvole si stanno aprendo. Telefono e la linea
arriva subito, la famiglia ha posto, devo correre a prendere l'ultima corriera
che c'e' e scendere ad un certo punto, poi dovro' camminare. Esco ed ha smesso
di piovere, non c'e' piu' vento ed il sole e' rosso ora nel tramonto. Corro
verso la corriera alla stazione. Mentre aspetto chiedo un succo di mango ad una
baracca, il tipo e' un contorsionista, e' in piedi ma ha un piede scalzo sul
bancone e si sta pulendo le unghie.
Salgo sulla corriera, salendo mi scappa l'occhio su un pneumatico, rido e penso
che solo a pensare di montarli, cosi' disfatti, ci multerebbero. Salgo.
L'autista tiene la musica indiana a volumi assurdi. La gente mi sorride.
Dopo cinque curve buchiamo una gomma, quella di scorta e' messa ancora peggio di
quella bucata. Sorrido anch'io.
La corriera sale, a destra lo strapiombo, in basso un fiume. Scendo nel posto
dove mi era stato detto di scendere. Mi volto a sinistra, non c'e' nessuno, mi
volto a destra ed un bambino mi corre incontro e mi da in mano un biglietto
senza dire niente. Sul biglietto c'e' scritto in corsivo "Segui il
portatore di questo biglietto".
Ed io lo seguo. E' buio completo ormai. C'e' silenzio, non c'e' niente
attorno. Usciamo dalla strada ed entriamo nei campi. Seguiamo un sentiero
stretto, a destra un campo di frumento, l'unica cosa bianca illuminata dalla
luce della luna. Poi il campo finisce, camminiamo lungo un fiume, poi sopra un
ponte, poi in un altro campo con dei massi. Cominciamo a salire su un sentiero
di montagna, e' un ruscello, scende l'acqua, e' notte e non vedo niente, il
ragazzino e' in ciabatte e sale veloce, io con le mie scarpe tecniche non riesco
a stargli dietro. Saliamo sempre di piu', scivolo, lo zaino pesa, poi guardo
sotto e capisco che non devo piu' scivolare.
Passiamo di fianco ad una capanna tutta avvolta nel fumo, di fianco due animali
- fa buio, mucche o muli? - da una porta escono delle fiamme rosse, e il fumo.
Saliamo ancora, il sentiero e' sempre piu' ripido, incontriamo una capanna,
tutto tace ma un uomo urla e canta, sta pregando, saliamo ancora. Il sentiero
costeggia una casa, sulla porta una vecchia coi capelli grigi in piedi ci
guarda, ha un secchio in mano, il secchio e' luccicante. Camminiamo ormai da
quaranta minuti.
E arriviamo ad una casa, c'e' una veranda che guarda sulla valle, una stanza
e la famiglia. E' stupendo. Mi danno da mangiare, e mangio. Poi mi danno un
secchio rosso con dell'acqua fredda e un secchio blu con dell'acqua bollente, e
mi lavo. Poi mi danno una coperta e mi aprono la stanza.
Fuori piove, ci sono lampi e tuoni. Finiscono i tuoni e finisce di piovere,
resta solo il rumore dell'acqua del fiume, aspetto che mi addormenti. Peccato
che V. non sia qui.
:: D 16:07 [+] ::
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