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India, 2003 VERSO NORD
:: 27.4.03 :: - Lakshman Juhla, Rishikesh - Le stazioni qui sono sempre luogo di sensazioni estreme, la somma di tutto
cio' che e' stato prima della partenza oppure il preludio fulminante di cio che
comincia all' arrivo. Venerdi' sera mi sono mosso da Pahar Ganj. Ho deciso per ora di non andare a
Varanasi, ma di dirigermi subito verso Nord, il mio fisico non sarebbe
sicuramente riuscito ad affrontare con ironia il viaggio e la citta' stessa. Arrivo alla stazione dei treni di Old Delhi quando ormai comincio davvero a
fare fatica a respirare, come se tutto cio' che avessi respirato fino ad ora si
stesse accumulando proprio in quel momento davanti a quella stazione. Guardo l'entrata
da lontano come, immagino, si puo' guardare una via d' uscita durante un
incendio. Corro verso la sala centrale, ancora una volta senza guardarmi intorno,
ho fretta, mi sento come se stessi scappando, mi interessa soltanto capire dove
sta il mio treno, lo trovo, arrivo al binario, cerco la carrozza giusta ed
entro. Sono le dieci di sera. Alle cinque e mezza scendo ad Haridwar. La stazione di Haridwar e' piu' piccola di quella di Delhi. La prima
impressione che ho e' che non fa fresco come speravo. Ma forse ancora devo
salire in alto. Per terra nella sala centrale e' pieno di gruppi di persone
coricate, tutte vestite di nero, e di qualche mucca che passeggia. Ho l'
impressione che gran parte della gente si sia gia' alzata e sia gia' andata via
perche' ci sono alcuni gruppi di persone che dormono appiccicate l' una contro
l' altra e tra queste di tanto in tanto degli inspiegabili metri di vuoto. Esco
dalla stazione, sta cominciando ad albeggiare, il mercato in fondo e' gia' in
fermento. Nello spiazzo di fronte all' uscita la scena e' la stessa, uomini
dentro stracci neri per terra che dormono o che aprono gli occhi giusto nell'istante
in cui schivandoli, ci cammino in mezzo. Nell' angolo a destra della piazza una
famiglia di una decina di persone, vestite tutte colorate, sta seduta a
semicerchio. Trovo subito l' autobus, secondo quella regola del caso che fa si che in
India tanto piu' e' difficile per me trovare qualcosa, quanto piu' e' probabile
che mi si materializzi di fronte senza che neanche abbia cominciato a cercarla. Arriviamo a Rishikesh. L' autista mi lascia prima di entrare nel parcheggio,
scendo, l' autobus se ne va e rimango da solo. Trovo un rickshaw - anche i rickshaw qui sono di un modello diverso, piu'
rumoroso - e mi faccio portare nella zona degli ashram, ossia dei centri di
meditazione, o templi veri e propri, alcuni dei quali sono anche degli alberghi:
Rishikesh e' un luogo importante soprattutto per le tecniche di yoga e di
meditazione trascendentale, qui pure i Beatles sono venuti negli anni settanta e
da quello che ho capito Harrison ci si e' pure fermato per un lungo periodo. Arrivo al limite della citta', devo scendere perche' non si puo' procedere a
piedi, comincio a camminare e cammino per circa tre quarti d'ora, con lo zaino
sulle spalle, fino ad arrivare ad un ponte pedonale sospeso in aria sopra il
Gange. Lo passo, il Gange scorre sotto un po' grigiastro. Il paese si sta
svegliando. Lungo il sentiero centrale le botteghe stanno aprendo, i primi odori
forti rompono l' odore del mattino. Passo di fronte ad una ventina di persone
vestite d' arancione sedute per terra che mi salutano, eppure un po' imbronciate,
cammino ancora, lento e sudato, sono stanco, dagli edifici attorno escono
musiche indiane, ecco, inevitabilmente indiane, le scuole di yoga hanno le porte
aperte ed aspettano gli allievi. Arrivo ad un albergo che potrebbe andare, ma
non c'e' nessuno. Giro attorno - l'albergo sembra abbandonato - e trovo una
persona cui chiedo una stanza ed un caffe'. Mi dice che mi puo' dare solo il
caffe', che bevo su un tavolo in un giardino sporco e dimesso, in mezzo a piatti
e bicchieri della sera (o della settimana) prima, insieme ad un' israeliana un
po' sfatta che si e' alzata presto per il suo corso di yoga. Poi alle dieci mi fermo. Sono arrivato dall' altra parte della citta', un
altro ponte sospeso, piu stretto, unisce le due sponde del Gange. Una famiglia
di scimmie salta da un tirante all'altro. Attraversando il ponte, capisco che
questo e' il posto dove mi voglio fermare, non tutti quelli che ho visto prima,
ma questo. Vedo un albergo, arroccato giusto alla fine del ponte a sinistra, ed
un posto dove mangiare, a destra, nell' albergo incontro la ragazza israeliana
che avevo conosciuto a Delhi, ed un altro gruppo di israeliani - stanno sempre
insieme - ora devo soltanto cercare V., che mi ha preceduto qui perche' non ce
la faceva piu' a stare a Delhi. Ieri c'e' stata una bufera di vento, la porta della mia stanza era chiusa da
un catenaccio ma il vento l'ha scardinato e la porta si e' spalancata nella
notte, e' entrato di tutto. Poi stamattina ha cominciato finalmente a piovere.
:: 28.4.03 :: - Lakshman Juhla, Rishikesh - V. e' partita questa mattina per Chandigarh.
:: 30.4.03 :: - Chandigarh - Il maiale mi fissa intensamente con le sue due narici, messo di sbieco giusto
sotto i gradini dell'autobus. E' mattina presto a Rishikesh, dai templi escono i suoni delle campane e la
gente ha gia' cominciato a lavorare - in particolare a trasportare. Il viaggio per Chandigarh e' lento, troppo lento, otto ore per duecento
chilometri sopra un autobus locale. Ad ogni fermata o ad ogni rallentamento
salgono sull' autobus venditori di qualsiasi tipo, almeno tre o quattro ogni
volta, che urlano a memoria I loro discorsi fissando di volta in volta dei
passeggeri diversi. Vendono prevalentemente cose da mangiare - frutta gia'
tagliata, coni gelato col gelato in avanzata fase di squagliamento, frittelle
elegantemente avvolte in fogli di giornale - anche se i migliori in assoluto
sono quelli che vendono oggetti - cose per la casa, bigiotteria, set di pettini
di tutte le dimensioni - e che mi ammaliano perche' tanto piu' le
caratteristiche dell'oggetto ed il suo uso sono semplici e scontati, quanto piu'
lungo ed appassionato e' il discorso di presentazione, dieci, quindici, venti
minuti. In questi giorni ho scoperto che piu' o meno lungo il mio tragitto ci sta una
citta', Chandigarh, che mi pareva una citta' strana, molto strana, allora ho
deciso di passarci. Ora, ci ho pensato in questi giorni, eppure l' idea di una citta' progettata
e costruita da Le Corbusier in mezzo alle torride pianure del nord dell' India
continua a non essere diversa, come concetto, dal coprirsi di deodorante senza
essersi prima pero' lavati. Innanzitutto, appena prima di entrare, c'e' scritto Chandigarh. C'e' un
cartello, non troppo grande, ma neanche piccolo, e sopra questo cartello c'e'
scritto Chandigarh. Potrebbe sembrare scontato, ma e' la prima volta che ne vedo
uno, e fino ad ora per capire dove mi trovassi mi ero dovuto arrangiare con le
targhe delle macchine o le insegne dei negozi.
:: 2.5.03 :: - Shimla - Se continuo a giudicare cio' che vedo utilizzando come termine di paragone
cio' che ho gia' visto, dentro e fuori dell'India, allora il posto dove mi trovo
ora e' per l'ennesima volta strano. Sono arrivato ieri sera, dopo un viaggio su un trenino che correva su binari
a scartamento molto ridotto - non troppo piu' largo di quelli dei trenini per
bambini ai giardini - alla velocita' massima di diciotto chilometri all'ora.
Sembrava di muoversi nel plastico di un appassionato di trenini elettrici, uno
di quei pazzi che spostano i mobili del salotto in un ripostiglio pur di farci
stare un venti metri quadri di ferrovia, con le sue brave gallerie, i rettilinei,
i passaggi a livello, le montagne e naturalmente le stazioni. Ecco, c'era
proprio tutto, non mancava niente, il trenino si e' arrampicato da duecento a
duemiladuecento metri su piccoli ponti, dentro piccole gallerie (centotre' in
tutto), lungo piccoli passaggi a livello e fermandosi in piccole stazioni,
piccole in tutto, anche dove non ce ne sarebbe stato bisogno (va bene il treno,
ma c'e' forse bisogno costruire in miniatura anche la stazione?). Questo posto e' strano, dicevo. Allora sono sceso e sono stato in giro ancora, ho camminato in mezzo alla
stazione degli autobus - questa qui e' particolarmente bella, stazione di
autobus con vista - poi sono salito per le stradine piu' strette, dove le
botteghe vendevano di tutto e trabordavano merce ed odori per la strada, come
ovunque in India, soltanto le strade erano in salita, le scene in verticale e
non in orizzontale. Poi sono sceso ancora, senza mai passare lungo la stessa
strada. Prima di tutto, le scimmie. Questo posto e' pieno di scimmie, ce ne sono
migliaia ovunque, da sole, in gruppi, con e senza piccoli, eppure cosi' strane
queste scimmie, cosi' fuori dal loro luogo, cosi'apparentemente lontane da dove
dovrebbero essere: animali troppo strani ed agili per una citta' disordinata,
sporca e maleducata. E poi quelle persone, quelle cose lente in mezzo al traffico, sempre e solo
sopra le strade ripide - perche' questo posto e'incredibilmente ripido, ecco, la
difficolta' sta nella ripidita', e allora se questa e' la difficolta' di questo
posto, c'e' chi ne paga le conseguenze - si intravedono appena perche' paiono
invisibili, vestiti di stracci marroni, mimetizzati col colore sporco del paese
di montagna, la barba lunga, le scarpe rotte, eppure ci sono, loro si vedono
appena sotto tutto quello che trasportano su e giu' per quelle salite, sacchi
enormi, barili pieni, ceste di oggetti, bombole del gas, tutto legato in modo
solido ma povero.
:: 5.5.03 :: - McLeod Ganj, Himalaya - La Tata e' il piu' mastodontico conglomerato industriale dell'India. La Tata
produce locomotive Tata, bustine di te' Tata, autocarri Tata, orologi Tata e
pure caffe' Tata. Ma la Tata produce soprattutto le corriere Tata, diciamo che
sono il suo pezzo forte, immagino il prodotto piu'amato. Secondo quella legge del caso in India, che dice che tanto piu' e' poco
probabile che succeda una cosa quanto piu' questa in realta' poi succede, sulla
corriera a Shimla ho ritrovato Sean. Con la sua ragazza peruviana, arrivata
giusto pochi giorni prima. Il viaggio, e' durato, ancora una volta, troppo, in un certo senso. Undici
ore, e parti e fermati, e riparti e rifermati, ed entra nella stazione, e
fermati, ed esci dalla stazione, tutto cosi, undici ore, duecentosettantacinque
chilometri. Il tragitto verso l' Himalaya e' stato un susseguirsi di curve, di paesi, di
tratti lungo la foresta, di stazioni piccole e di stazioni grandi (inutile
capire di quale paese fossero) fino ad arrivare a valle, al caldo. Poi di nuovo
su, un tratto nel verde poi un tratto nel paese, un tratto nel silenzio della
campagna e poi un tratto nella follia delle citta'. Ad un certo punto la successione di paesi e campagne si e' spezzata, qualcosa
era cambiato, stavamo salendo e basta, niente piu paesi, solo boschi, campi,
donne colorate che sistemavano covoni di grano o ferme sui bordi della strada
che riempivano anfore d'acqua, ma piu' nient'altro, sempre piu' in alto e sempre
piu' silenzio, sempre piu buio e sempre piu' freddo.
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