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India, 2003
L' ARRIVO
:: 17.4.03 ::
- Milano -
Dunque ora e' il diciassette aprile, partenza ore 6.55.
Vado a terminare le valige, poi mi tagliero' i capelli a zero.
:: D 01:51
[+] ::
...
:: 18.4.03 ::
- Pahar Ganj, Delhi -
Mai visto niente di simile in tutta la mia vita.
V. non ha dormito niente durante il viaggio. Ha letto libri, mappe, guide
e si e' preparata a vedere l'India. Io invece ho dormito, ero stanco ed
avevo riposato poco la notte prima. E poi volevo farmi travolgere, dall'India,
ecco, non volevo essere troppo preparato.
Sono arrivato ieri notte, il mio primo ostello e'stato un YMCA.
(spazio per fare il gesto con le braccia).
Durante il tragitto dall'aeroporto non ho visto niente, e poi sono
crollato a letto. Ma stamattina, stamattina mi sono ritrovato in un altro mondo.
Mi ci sono ritrovato un po' irrigidito, ecco. La notte non e'passata
troppo bene, dal momento che il condizionatore pareva una motosega e che di fianco all'orecchio, per terra, avevo un
aggeggio strano, una specie di caricabatterie da automobili il cui scopo,
a mio avviso, era quello di mantenere stabile la corrente elettrica dal momento che ci
sono blackout ogni venti minuti. Ebbene questo pezzo di metallo pero' ogni
tanto scattava con una scintilla bianca e questo mi ha turbato un poco il
sonno.
Ma il vero motivo della mia rigidita' stava nel seguire fino in fondo la
Regola Numero Uno di chi va in India per la prima volta, ossia fare finta
che non sia la prima volta. Quindi mentire, mentire,
mentire, ad ogni domanda. Se si sparge la voce, sei fregato.
Volevo venire in India per l'umanita' varia, ebbene l'umanita' varia qui
comunque non e' definita: l'umanita' varia si fonde con la fauna, si fonde
con i motori, il ferro, le insegne e la puzza. Al di fuori degli uomini,
tutto il resto pare comunque umano, gode di una sua identita'.
Girare per le strade con il motorickshaw (a Rimini si dice riscio')
e'come entrare nel trenino del terrore al luna park, cose che spuntano da
tutte le parti. mucche stupende che camminano per la strada, e quando si
dice per la strada, si dice proprio per la strada, in mezzo, contromano,
perche'loro, come del resto gli indiani umani veri, le regole non le
conoscono.
Entro nel Main Bazar, li' c'e' il mio hotel (se cosi si puo definire) per
stanotte. Ed in quel momento penso che io non ho mai visto niente di
simile nella mia vita. Sono in un sogno.
Un istante penso che vorrei tornarmene a
casa, ora, dalla mia famiglia e dai miei amici, poi subito dopo tutto si
placa e penso che vorrei stare qui per sempre.
E' stressante stare dietro a queste sensazioni. Ma penso sara' cosi per tutto il viaggio.
Esco dall'albergo dopo avere lasciato i bagagli ed essermi messo i
sandali - avevo deciso di non usarli inizialmente, c'e di tutto per la
strada, ma poi ci ho ripensato perche' fa troppo caldo. Mentre entro nei
vicoli un tipo col turbante mi incrocia ed afferma che io vengo dall'YMCA.
Ora, il YMCA era dall'altra parte della citta'.
Come fa il tipo col turbante a sapere che ho dormito la' ieri notte?
:: D 13:25
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...
- Delhi -
Questa mattina, il primo giorno in India, compro il The Times of India,
costo 1.5 rupie, ossia 60 lire - non ho ancora capito se e' perche' lo
leggono tutti o perche' non lo legge nessuno - che apre con un titolo che
ho letto ridendo, se non altro per il tempismo del fatto. "It's
official: SARS is here" e sotto, una specie di editoriale che inizia
con una domanda che a quanto pare ricorreva: "e tutti si chiedevano
soltanto: quando?"
When? Oggi. Giusto per il mio arrrivo. Non bastava il terrorismo
psicologico dei media europei, adesso ci si mette anche il "The Times
of India", a parlare della "polmonite killer".
Penso che, in mezzo alla polvere di questa citta', anche questo bizzarro
coronavirus non avra' comunque vita facile, o magari invece si propaghera'
tra il miliardo e piu' di indiani alla velocita' della luce, indiani che
tra l'altro hanno la pessima abitudine di essere plateali nei gesti di
politeness occidentali: il gomito sul tavolo, mangiare con le mani ed,
appunto, lo starnuto libero e potente.
V. e' un po' preoccupata di questa faccenda, soprattutto dopo avere letto
il titolo del "The Times of India".
Questi giornalisti.
:: D 17:06
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:: 19.4.03 ::
- Delhi -
Un topo nero un po' bagnato e' morto davanti ai miei occhi, molto
probabilmente di vecchiaia.
Io non me la sono sentita, ma sicuramente qualcuno l'avra' portato ai lati
della strada per evitare che lo schiacciassero.
:: D 16:42
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- Delhi -
La buona notizia e' che in India i cessi non puzzano.
O meglio, non c'e' piu puzza della puzza che c'e' fuori dal cesso, quindi
in fondo in fondo quella del cesso non si puo' chiamare puzza.
In questo momento mi trovo ancora a Pahar Ganji, dove sta il mio
albergo, nell'area del Main Bazar. Non riesco ancora ad andarmene di qui
per vedere il resto della citta'. Questa mattina, quando mi sono alzato,
ho guardato fuori dalla finestra, sentivo i rumori, vedevo gli odori,
seguivo la gente, e sorridevo nella smania di sapere che cosa avrei avuto
davanti ai miei occhi oggi, quale pezzo di quell'umanita' apparentemente
impazzita si sarebbe mossa lungo il mio percorso.
Poi mi sono calmato e mi sono preparato bene. Bisogna essere davvero
preparati bene per uscire li' fuori.
Ho pensato a cosa c'e' di piu' simile a tutto questo nel paese in cui
vivo e nei suoi standard, ed ho pensato che l'unica cosa che vagamente
ricorda l'atmosfera sono le feste per la strada quando l'Italia vince il
mondiale di calcio - qualcosa che puo' davvero ricordare soltanto chi e'
nato prima del 75 - per le strade di Napoli, pero'.
Ed e' cosi sempre, ad ogni ora del giorno e della notte.
Ieri sera sono stato a cena in un ristorante lungo il Main Bazar, un
posto dove, quando la clientela ha cominciato ad uscire, hanno tolto il cd
di musica locale ed hanno sparato Christina Aguilera, forse in omaggio
alla nostra occidentalita', visto che continuavano ad annuire verso il
nostro tavolo. Ho cenato in questo locale dove servono birra che non e'
cosi' facile da trovare qui - stavo con un olandese ed una coppia di
inglesi in crisi d'astinenza alcoolica.
Siamo usciti verso l'una di notte.
La strada era vuota e larga, dal momento che i negozi non trabordavano
le bancarelle piene di merce, e silenziosa, almeno rispetto ai rumori del
giorno. Di notte si capisce con piu' chiarezza cosa e' quella cosa che fa
mancare il respiro quando si cammina di giorno. Una coltre densa di
polvere, fumi, puzza, crea una specie di barriera che riempie la strada e
si dissolve ad un'altezza di una decina di metri da terra - c'e' una linea
visibile a rimarcare il confine.
Mi sono fermato un po' a guardare in uno spiazzo alla congiunzione di due
strade, un posto strano dove non ho ancora capito cosa succeda, sia di
giorno che di notte.
In mezzo alla scena c'e' una specie di enorme generatore di corrente a
gasolio, di fianco un'altra baracca arrugginita con le ruote (sgonfie) con
uno sportello che si apre su una fornace accesa da cui escono fiamme alte
in metro. Appena di fianco, un enorme mucca bianca rumina sopra un
giaciglio di sacchi di calce per cemento, alcuni intatti, alcuni aperti e
con la polvere dappertutto. Dietro la mucca sta appeso un tappeto bianco
alto tre metri.
Appena accanto al baricentro della scena, nel nero complessivo, un uomo
vestito di grigio vende uova bianche sopra un tavolino, splendenti, punti
brillanti di luce in mezzo al buio della notte.
:: D 10:50
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:: 20.4.03 ::
- Delhi -
Oggi e' Pasqua di Resurrezione.
Si capiva che era domenica perche' ogni tanto trovavo uno specchio
appeso ad un albero sotto le foglie, con di fianco una pila di mattoni e
sopra una tovaglia, e sopra la tovaglia delle boccette mezze vuote, ed un
barbiere, forse, ma comunque un ragazzo con una camicia azzurra ed una
lama in mano. Davanti a lui, rilassato come per il caso, un uomo in genere
di mezza eta', insaponato ovunque tranne che, manco a dirlo, sui baffi.
Oggi ho conosciuto Sean e siamo stati in giro insieme tutto il giorno.
Sean ha lasciato gli USA nel 96, da allora e' stato in giro in tanti paesi,
manco me li ricordo tutti. Quando e' ritornato in Ohio per un po', se non
ricordo male nel 99, non ce l' ha fatta a reggere la cosa - reverse
cultural shock, dice lui - allora ha preso una bici a New York ed e'
arrivato a San Francisco cinque mesi dopo.
Ora dice che ha capito bene cosa sono gli Stati Uniti d'America, ed io sto
cercando di farmelo spiegare. Tra poco se ne va nel nord ad insegnare
inglese ai monaci tibetani rifugiati in India, lo raggiungero' attorno al
dieci di maggio.
Continuo a non riuscire ad andarmene da questo posto.
Cioe', ammetto di avere conosciuto pochi altri luoghi malsani in
maniera cosi' evidente.
Penso che al mondo ci siano tanti posti dove fa male stare, magari perche'
c'e' materiale radioattivo di chissa' quale provenienza, magari per un
campo elettromagnetico esagerato, o perche' il cadmio si e' infiltrato
nelle falde e di qui nei rubinetti. Ma spesso lo si sa dopo, la gente vive
serena, poi un giorno si scopre, qualcuno e' stato male, arrivano i
giornalisti, gli avvocati, le inchieste, eccetera. Ma almeno fino ad
allora non lo si sapeva, la gente viveva tranquilla e fiduciosa.
Qui no. Qui si vede bene che fa male, e' palese. Si sente in gola,
negli occhi, nel naso, se ne parla.
V. dice che e' pericoloso. Secondo lei con tutti quegli animali, maiali,
capre, cani, asini e cavalli per la strada, e naturalmente le mucche,
tutto cio' e' tutto troppo, insomma il mix, i virus che passano il confine
del regno animale, e poi tutto cio' che sta per terra, e per terra qui ci
sta davvero di tutto, si dissolve nell'aria, e non e' poco.
In piu' la storia dei taxi truccati, cioe' ridipinti. Una legge ha imposto
qualche anno fa che quelli di Delhi fossero tutti convertiti dalla benzina
al gas. Quelli vecchi, neri e gialli, andarono allora in pensione - le
strade sono ancora piene di carcasse - ed arrivarono quelli nuovi, gialli
e verdi, ma identici. Allora la soluzione era che se ne prendeva uno
vecchio a benzina e lo si ridipingeva. Dove c'era il giallo restava il
giallo, il verde al posto del nero, ed ecco pronto il taxi a gas. Ma non
fa bene, affatto, visto che sono milioni e tutti nella stessa strada.
Allora, dicevo, si vede chiaro, lucido che fa male. E' scontato.
Eppure, proprio non ce la faccio.
Glielo chiedo, a V., tutte le sere: ancora un giorno, V., per favore.
:: D 21:08
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Ciao, io sono Vinod e dormo sopra questo rickshaw.
Normalmente parcheggio qui, di fianco alla bottega del barbiere e un po'
nascosto da questa vecchia macchina nera.
Io sto qui da un po' ed in effetti i problemi prima c'erano. Prima ero piu'
basso di adesso, e dormire non era semplice.
Perche' all'inizio ero gia' troppo alto per dormire sul divano verde e non
ci stavo tutto e le gambe uscivano fuori, pero' non ero ancora abbastanza
lungo per cambiare posizione. Quindi dormivo un po' raggomitolato. Quando
fa caldo e' brutto dormire raggomitolati.
Poi sono cresciuto, e crescendo ho visto che potevo cominciare a mettere
il sedere sul sellino. Pero' era difficile arrivare in fondo a toccare il
manubrio, e poi comunque al sellino ci arrivavo appena, cosi' se mi
muovevo spesso rischiavo di cadere perche' non ci stavo sopra tutto col
sedere.
Poi sono cresciuto ancora, e da allora dormire e' ancora piu' bello.
Ora sto bene col sedere sul sellino e la schiena sul divano verde. A volte
copro il sellino con qualcosa di morbido ed e' piu' comodo. Adesso arrivo
fino in fondo, distendo le gambe fino al manubrio e se voglio girarmi di
fianco posso girare il manubrio con le gambe e senza alzarmi, cosi' il
manubrio viene piu' vicino e regge il fianco del mio piede destro.
Mi addormento la sera tardi, e quando c'e' rumore e c'e' gia' luce,
ricomincio a pedalare.
:: D 20:19
[+] ::
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:: 21.4.03 ::
- Pahar Ganj, Delhi -
Ho mentito a me stesso e a V.
Stamattina ho comprato il biglietto del treno.
Lascero' Delhi, e soprattutto la mia strada, mercoledi' notte.
:: D 10:46
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:: 25.4.03 ::
- Pahar Ganj, Delhi -
Ripensandoci, cio' che piu' mi e' mancato in questi tre giorni di
spostamenti e malattia, e' stato un luogo dove scrivere.
Per scrivere ho bisogno di un computer, non riesco a farlo sopra un pezzo
di carta, la carta e la penna non mi permettono in alcun modo di tenere il
ritmo delle immagini che rivivo.
Sono stato coricato sopra un letto per due giorni e tre notti.
La pala del ventilatore sul soffitto ogni tanto si fermava per il blackout
di corrente, e tutto diventava insopportabilmente caldo, ma restava
comunque uno stimolo inesauribile al ravvivarsi delle immagini di fronte a
me, forse un fatto prevedibile, ma per me unico.
Oggi sono tornato alla stazione per comprare il biglietto; questa sera
parto in treno verso il nord, prima tappa Rishikesh.
La prima volta che sono stato alla stazione, sono salito al primo piano
per andare all'ufficio per i viaggiatori non indiani, che hanno una quota
sui posti disponibili sui treni, ma sono salito dalla parte sbagliata e
sono subito stato avvicinato da alcune persone vestite in modo quasi
ufficiale, in pantaloni grigi e camicia un tono piu' chiaro ma senza
nessun distintivo delle ferrovie, che mi dicevano che l'ufficio che
cercavo era stato chiuso in questo palazzo e che la nuova sede era nel
palazzo davanti alla stazione - indicandomi contemporaneamente col dito i
finti Foreign Travellers Reservation che a decine occupano la strada di
fronte alla stazione.
La mia occidentalita' mi frega, ma pure mi aiuta. Una specie di giapponese
infatti, conoscendo bene il problema, si avvicina e mi indica dove sta l'
ufficio vero.
Allora scendo, ed entro nella stazione.
Ho fretta, mi sento a disagio. Nella sala principale centinaia di persone
stanno coricate per terra, non le degno di uno sguardo, non mi preoccupo
di notare qualche dettaglio per capire per quanto tempo sono rimaste li -
tipo cibo consumato, o coperte stese.
Ho fretta, cerco soltanto cio' che mi serve.
Allora salgo per una scala seguendo il cartello. La scena e' buia. E'
mezzogiorno ed il sole splende, ma in qualche modo tutto e' grigio e buio.
La scala e' larga, di colore marrone scuro, sporca come se fosse
abbandonata da anni, su un lato un muro e sull' altro una vetrata, da cui
entra il sole.
Che pero' non illumina niente, tutto rimane grigio e buio, tutte le
persone sono del colore della polvere e dello sporco, soltano si muovono
su e giu' per le scale, senza troppa fretta ma tutte insieme a centinaia.
Mentre salgo, sulla sinistra un uomo sta seduto al contrario, voltando le
spalle ai gradini che scendono. Guarda verso i gradini che salgono, ma non
sembra volere salire.
E' fermo.
E' l' unica fiamma di colore in tutta la scena, l' unico corpo, le uniche
spalle, le uniche braccia che, splendenti per le ferite della lebbra, il
sole ha preoccupazione d' illuminare.
:: D 12:42
[+] ::
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- Pahar Ganj, Delhi -
[24.4.03 - New Delhi, Delhi]
[23.4.03 - Pahar Ganj, Delhi]
[22.4.03 - Pahar Ganj, Delhi - Agra - Taj Mahal - Mathura - Vrindaban -
Pahar Ganj, Delhi]
[21.4.03 - Old Delhi, Delhi - Sadar Bazar, Delhi - Jama Masjid, Delhi]
L' India per me e' un palcoscenico lungo come le sue strade. L' India
e' fatta di comparse che svolgono un' azione completa, non parziale, nel
momento in cui le si osservano. L' India e' un lungo piano sequenza di un
regista che, passando di fronte alla scena da riprendere, di volta in
volta ordina alle comparse di fare cio' che spetta loro, dall' inizio alla
fine, senza interrompersi, senza distrarsi, con serieta'.
Ecco, lo sguardo di una persona che cammina per le strade dell' India, lo
sguardo che si volge a destra e a sinistra, e' come l'ordine del regista:
azione.
Sean e' un grande compagno di viaggio, siamo stati spesso insieme in
questi giorni. Siamo arrivati negli stessi giorni e quindi soffriamo e
viviamo gli stessi problemi d' adattamento. In piu' riusciamo a capirci
con una sola occhiata. A ridere, a preoccuparci, o a commentare con uno
sguardo senza bisogno di farlo davvero. Questo capita con le scene, i
dettagli, gli odori e le urla che ci capitano di fronte: capita spesso ma
senza che sia mai diventato un gesto banale.
Dunque, lunedi' io e Sean ci siamo dati appuntamento per entrare a Old
Delhi, passando per il Sadar Bazar. Sapevamo che era il luogo piu' intenso
della citta', quello piu' difficile, ecco. Per caso (e per fortuna) ci
siamo trovati a volerci entrare nello stesso giorno.
Dico entrare perche' non si puo' usare altro termine. Non e' un'attraversamento.
C'e' un'entrata e c'e' un' uscita, con tutto quello che cio' comporta.
Io e Sean decidiamo di entrare dal lato a sud. Io sono vestito con i
pantaloni lunghi, i sandali ai piedi, e un paio di occhiali
inevitabilmente appariscenti. Sean ha le scarpe chiuse. Sono circa le
cinque del pomeriggio. Abbiamo scelto quest'ora perche' probabilmente
avremmo sofferto meno il caldo.
Arriviamo subito ad uno spiazzo dove tutto lo spazio calpestabilee'
occupato da centinaia di vecchi scooter abbandonati, che poi sono la
nostra vespa. Attraverso un sentiero lasciato libero camminiamo verso il
lato opposto. Tutti ci guardano.
E' difficile alzare gli occhi al cielo quando si hanno cosi' tante cose di
fronte, e quando lo faccio resto come stupito. Le case sono bellissime.
Le case sono come bombardate, alcune hanno l'ultimo piano distrutto, altre
soltanto una stanza, altre solo il tetto, mi vengono in mente le foto
delle citta' tedesche dopo la guerra, quelle in bianco e nero. Solo che
qui le case sono tutte colorate, di colori forti come il viola, l'arancione,
il verde, ma ormai sbiaditi.
Delle case e' rimasto, direi, l'essenziale, cio' che serve per viverci
dentro, o almeno per entrarvi e uscirne.
Dallo spiazzo rientriamo in un vicolo, le strade diventano sempre piu'
strette, io e Sean non riusciamo piu' a guardare se non in fronte a noi,
al terreno dove camminiamo, perche' il voltare la testa a cio' che succede
ai lati della strettoia richiede troppo sforzo, troppa forza, ne' io ne'
lui ne disponiamo.
Cominciamo ad essere immersi. Io lo sento dallo stomaco, e' come
irrigidito, in attesa di qualcosa. Ci inoltriamo sempre piu', e tutti ci
continuano a guardare - non incontreremo neanche un occidentale lungo
tutto il nostro cammino.
Non camminiamo veloci, questo no, ma neanche troppo lenti. Sento che i
miei addominali restano bloccati, allora decido che comunque posso
cominciare a guardarmi attorno, ed ecco rivedo attorno a me tutte le
comparse.
Lungo le strade ci sono tante botteghe, una accanto all'altra. Le
botteghe sono larghe non piu' di due metri e mezzo, buie, a volte con un
lume acceso in fondo, a volte con un piccolo tempietto colorato che spicca
nel grigio, e dentro si fa di tutto. Non capiamo bene cosa si fa, perche'
non riusciamo a fermarci se non per quello sguardo, ma si fa davvero di
tutto. Mi ricordo una pentola argentata sopra un fuoco a gas in una
bottega tutta nera, l' argento spiccava, ed un uomo che immergeva nella
pentola altro materiale da fondere: erano medaglie. Allora guardo meglio
nella bottega e mi accorgo che nella bottega ci sono solo medaglie, di una
lega color argento, medaglie e basta, milioni di medaglie, tutte
abbastanza simili. Tutto qui, ho ancora negli occhi il metallo fuso e gia'
mi attraversa la strada una capra.
In questo angolo di via ci sono decine di capre, ce n' e' una nera che
pare incastrata tra i due muretti della soglia di una casa e che mi fa
sorridere, e dietro le capre ci sono bambini, decine di bambini, scalzi,
che giocano con le capre o tra di loro, e guardano me e Sean e per un
istante si bloccano - solo uno di loro ci seguira', uno con una specie di
tatuaggio sulla pancia di quelli finti che regalano con i formaggini.
Siamo immersi, dentro questi cunicoli di un metro di larghezza, dentro le
botteghe, tra gli animali, ma non possiamo fermarci, non resisteremmo,
sarebbe troppo, forse. Ogni tanto ci guardiamo, e con gli occhi indichiamo
qualcosa, una casa con una porta aperta, buia piu' del vicolo ma con uno
sprazzo di luce in fondo, ci sono delle donne attorno ad un piccolo patio
con una fontana, stanno pregando.
Ad ogni bivio non sappiamo dove andare, e' chiaro che vogliamo andare
ancora piu' dentro, vogliamo essere ancora piu' immersi, quindi la nostra
unica preoccupazione e' quella di non andare verso gli estremi, ma verso
il centro. Sean sa muoversi col sole e quindi indica la direzione. I
vicoli diventano ancora piu' stretti, adesso sono scomparse le botteghe,
qui si vive soltanto ma non si lavora.
Per la strada ci sono centinaia di persone, ferme, a parlare, e centinaia
si muovono, trasportano, corrono, camminano, giocano, mangiano, bevono,
sputano, si rincorrono. Ce ne sono ovunque, ovunque mi volti ci sono
persone, dietro una finestra, dentro una casa, dietro gli arnesi di una
bottega, a salire o a scendere le scale.
Questo e' il problema per noi, questo e' il motivo per cui non ci possiamo
fermare.
Non c'e' nessuno spazio per fermarsi.
Procediamo, ogni bivio e' una scelta obbligata, entriamo sempre di piu'.
Sedute sotto il bancone di una bottega di cose da mangiare ci sono quattro
donne, sorridiamo loro e chiediamo dove possiamo andare. Loro non
capiscono ma una, quella piu' grande e l'unica sposata, ci indica con gli
occhi il vicolo che sale giusto dietro di lei - a proposito, si sale
sempre ma non riesco a ricordarmi di essere mai sceso.
Noi ringraziamo ed entriamo, il vicolo e' lungo, tortuoso, ancora piu'
stretto, e qui non c'e' piu nessuno. Solo il bambino col tatuaggio ci
segue.
Non abbiamo mai avuto paura li dentro, neanche per un istante, neanche
a pensare che sotto la cintura dei pantaloni sia io che Sean portavamo una
quantita' di denaro pari a quella che un indiano in media guadagna in un
anno (*).
Non abbiamo paura, ma siamo come bloccati, irrigiditi, io lo sono, piccoli
passi e mezzi respiri.
Seguiamo il vicolo, non incontriamo nessuno, mi chiedo perche' la ragazza
ha indicato questa strada, entriamo sempre piu' dentro e ad un certo punto
vediamo qualcuno, in fondo, una strada che sembra larga e luminosa,
corriamo alla fine, e veniamo investiti da un fiume di persone, motori,
carri, animali, bambini.
Siamo all'aperto ora, siamo dove speravamo di non arrivare, eppure ci
sentiamo ancora piu immersi.
(*) Fonte: World Bank, 2001 - Il PIL pro capite indiano e' di $360
:: D 12:11
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